QUEL
FLUSSO DI COSCIENZA DI “PARTHENOPE INFERNO CELESTE” DI SILVANA CAMPESE
di Valeria Marzoli
La Campese ha utilizzato
i ricordi e le narrazioni delle protagoniste, dapprima Carmela, poi la figlia Maria
nonché le giovani nipoti Justine e la cugina che porta il nome della nonna, per
legare le pagine del suo romanzo. Infatti, è soprattutto la memoria ad essere la
vera protagonista di questo libro. Con mano sicura, l’autrice ha descritto
luoghi, abitudini, tradizioni, caratteristiche del popolo napoletano.
Silvana,
com’è nata l’idea di scrivere “PARTHENOPE INFERNO CELESTE”?
L'idea di
scrivere questo romanzo risale ad una forte esperienza che mi capitò purtroppo
di vivere un po’ di anni fa presso un consorzio di imprese dove lavorai per
molti mesi, impegnandomi tantissimo nei corsi di formazione in qualità di
docente. Ciò che scrissi giorno per giorno al rientro a casa sul diario che ho
sempre tenuto sin dall’adolescenza, servì in tempi successivi come fonte cui
attingere per quella che poi sarebbe diventata la seconda parte del libro.
Infatti, è diviso in due sezioni di cui la seconda si svolge in un tempo
diverso dalla prima: anni dopo la fine di Mariuccia, la zia tanto amata, le
nipoti, Justine, figlia del fratello Pasquale, e Carmela, figlia della sorella
Angela, diventano le protagoniste, ciascuna nel proprio ruolo di docenti, l'una
nell'impresa (consorzio di imprese) del padre, l'altra in un Istituto superiore
pubblico. In realtà, quindi la seconda parte nacque per prima in senso
temporale ma, mentre tentavo di sviluppare gli appunti del diario e con essi
creare la prima bozza del romanzo, mi resi conto della necessità di risalire
alle origini della storia e quindi a creare altri personaggi, ciascuno con un
ruolo e una collocazione nello spazio e nel tempo in relazione alla vera
protagonista, che è Maria. Per cui, tra fantasia e vissuto, mi sono data il
coraggio e la forza di creare una saga familiare.
Maria,
Justine, Carmela, Angela. Il suo lavoro è declinato al femminile. Perché questa
scelta?
In questo romanzo, il ruolo della donna è centrale e non poteva essere diversamente, tenuto conto dell’input che mi ha ispirato... C’è tanto di me e del mio vissuto in Maria e nelle nipoti, soprattutto in Justine. Per di più ho alle spalle una lunga storia di impegno nel Movimento femminista e in particolare di appartenenza per quasi mezzo secolo al gruppo storico delle Nemesiache, una realtà di lotta che si ricollegava a Napoli, al Vesuvio, ai Campi Flegrei, a Cuma, alla Sibilla, alla Sirena Parthenope, per esprimere le nostre radici, sempre alla ricerca dell'armonia per vendicare tutta la violenza fatta alla città, alla Madre Terra, alle Sibille, alla Vita, alla Bellezza. Per esprimere liberamente energia, creatività, arte e cultura.
A tratti il libro è un flusso di coscienza. Ci dica la forma narrativa che ha utilizzato.
Il romanzo è in terza persona, chi narra è
esterna/o, fuori dalla storia. Inoltre, c’è anche una sorta di narrazione nella
narrazione, quando è la stessa Maria a parlare alle nipoti durante le fasi
finali della sua malattia e ad ascoltare con loro le registrazioni. Prima
ancora c’è la lettura degli scritti di Angela e Maria da parte della madre,
Carmela, che aiutano a ricostruire il loro rapporto profondo nonché il vissuto
drammatico in famiglia nella relazione con il padre e il fratello. Ne viene
fuori così, grazie a questa scelta narrativa, il ‘flusso di coscienza’ di cui parla.
Questa tecnica tipica del romanzo modernista novecentesco e simile o almeno
molto affine al monologo interiore, normalmente presenta i pensieri del
personaggio molto liberamente, attraverso una rete di libere associazioni
mentali: idee, pensieri, ricordi, immagini... E fin qui direi che il richiamo
allo stream of consciousness è plausibile. Però mancano l’irregolarità
della sintassi, la mancanza della punteggiatura, la dimensione spesso onirica e
quant’altre caratteristiche del ‘flusso di coscienza’. Né c’era in me
l’intenzione di impegnarmi nella costruzione di un linguaggio misterioso o
addirittura incomprensibile come accade in opere di narrativa del genere cui si
è fatto riferimento. Tuttavia, è evidente che ho voluto ricostruire un percorso
di formazione e crescita, con sviluppi e cambiamenti importanti sul piano
psicologico, spirituale e ideologico in Maria.
Il
ruolo delle donne nel suo libro è soprattutto quello di tramandare la memoria.
Quale delle sue protagoniste è maggiormente investita da questa responsabilità?
Decisamente Maria, che oltre ad essere
scrittrice, e anche di un certo successo, passa teneramente e appassionatamente
alle nipoti il testimone. Dopo di che anche Justine e Carmela, le figlie
rispettivamente di Pasquale e di Angela, ciascuna nel proprio ruolo e con le
proprie esperienze e competenze... Per me è molto importante trasferire alle
persone più giovani esperienza piuttosto che ideologie o decaloghi e
quant’altro. Ho scritto anche per questo “La Nemesi di Medea”, libro edito nel
2019, nel quale racconto la storia delle Nemesiache dal 1968 al 2018... E
soprattutto reputo importante trasmettere il senso ed il valore del coraggio
battagliero nella appassionata lotta per raggiungere obiettivi e risultati di
grande valore, riguardanti diritti e libertà, giustizia sociale, pari
opportunità, la liberazione delle coscienze e la crescita in
consapevolezza. Una lotta che è stata, è
e sarà spesso dura ma quei risultati non si possono ottenere senza un grande
impegno e molta determinazione. Trasmettere esperienza: il partire da sé,
risalendo dal particolare del proprio vissuto all’universale, al generale. Fare
cultura, arte e politica insieme. Lavorare per sé e per tutte e tutti. Passare
il testimone è importantissimo. Oggi più che mai.
Per
scrivere questo suo lavoro è partita da esperienze autobiografiche o della sua
immaginazione?
Entrambi le fonti cui attingere. Ho moltissimi
ricordi degli anni ’50 e successivi. È poi abbastanza autobiografica la parte
che riguarda la militanza e le dinamiche relazionali all’interno dei
collettivi, anche se non ho mai fatto parte personalmente di cellule
terroristiche. Già ho fatto riferimento al consorzio di imprese... Ecco:
l’esperienza che Justine fa nell’impresa del padre ha evidentemente molto di
autobiografico.
Nel
suo libro sono presenti personaggi e avvenimenti storici. Quali sono state le
fonti di ispirazione di cui si è servita?
Essendo nata nel 1948, è ovvio che per non pochi eventi avessi io stessa ricordi molto utili sia per esperienze dirette che per narrazioni abbastanza dettagliate e attendibili dei nonni materni e dei miei genitori e zii. Per cui ho dovuto solo in alcuni casi cercare conferme per non incorrere in errori che riguardassero date o dettagli. Per altri ho approfondito le mie nozioni e/o informazioni servendomi di alcune fonti tra cui per esempio Il Mattino del 1934; “L'amara storia dell'Unità d'Italia” di Angelo Manna; “I Savoia e il massacro del Sud” di Antonio Ciano.
Che cosa intende quando parla di “disagio esistenziale”?
In generale penso, anche a prescindere dal
testo, che un disagio esistenziale che non sfoci in una vera e propria
patologia, dipenda dalle troppe insicurezze, dalla diffusa insoddisfazione, che
ci vengono purtroppo propinate da questa società contemporanea sempre più
complessa, incerta e fluida. Esse non possono non generare problematiche
esistenziali ovvero un malessere psicologico, un male dello spirito. Non si
riesce a districarsi dalla ingarbugliata e soffocante rete di minacciose realtà
e pessime, angoscianti prospettive. Stiamo correndo verso un limite estremo,
anzi per molti aspetti lo abbiamo già superato. Basti pensare alle
catastrofiche previsioni in relazione alle conseguenze dei cambiamenti
climatici in atto. È inevitabile che siano sempre più coloro che perdono
orientamento, orizzonti e fondamenta. Veniamo costantemente, terribilmente,
espropriate/i. Per di più sono soprattutto i giovani a subire una specie di
processo di mummificazione per eccesso esasperante di immagini false. I mass
media conducono nella liquidità di una mondanità immaginativa peraltro
omologata e omologante, spersonalizzante: vi domina lo splendore meramente
illusorio e illusionistico. Le coscienze sono ingannate nella finzione di poter
accedere a una nuova libertà...
Questo
è un momento storico estremamente difficile. Allora, qual è la voce dello
scrittore nella società contemporanea?
Mi collego a quanto detto prima. Se è vero che
stiamo correndo verso il limite estremo e siamo in procinto di perdere o
smarrire ogni indispensabile e salvifica interiorità, compito dello scrittore
nella società contemporanea non può che essere quello di opporsi a tanta
demenzialità globalizzata e colonizzante e proporre alternative, altre
prospettive. Creare strumenti idonei per poter accedere a nuove o rinnovate
fonti di energia mentale e ‘integratori’ spirituali che possano realmente
rinforzare le difese ‘immunitarie’ degli animi e delle menti non ancora o non
del tutto devastati. Gli ultimi capitoli di “Parthenope” sono pregni di questo
messaggio di speranza, anche se Aiello/Cimbrone muore. Io spero ancora e confido, nonostante tutto,
nella forza del femminile; e chi mi conosce sa che per me questo non esclude
affatto che anche i maschi molto consapevoli e decontaminati sappiano farlo
emergere dalle loro coscienze e servirsene per il cambiamento e la costruzione
di un mondo migliore. Nel mio romanzo Maria è Parthenope, ma lo sono anche in altri modi la
madre Carmela, Justine, Angela e altre figure di donne perché rappresentano la
forza del femminile, quella che permette alla maggioranza delle donne di
fronteggiare la realtà anche nei momenti più difficili e drammatici. Anche nel
presente ne stiamo avendo un esempio straordinario. Mi riferisco alla pandemia
di Covid19 in atto e purtroppo in piena seconda ondata. Parthenope è per me
l'emblema del femminile che affronta la vita nell'eterna lotta tra il bene e il
male.
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