Nell’ambito
degli “incontri con l’autore”, a cura de La Feltrinelli Napoli, a FOQUS lo scorso 4 maggio Lino
Guanciale ha presentato “Inchiostro”, il suo
primo racconto / favola illustrato da Daniela
Volpari e edito da Round
Robin
Di Rita Felerico
Non solo
commissario Ricciardi e attore dalla poliedrica capacità interpretativa, molto
amato dal pubblico; Lino Guanciale rivela
durante l’incontro di presentazione di Inchiostro, la sua prima prova di
scrittura, tutta la sensibilità e tutto
il suo spessore culturale che – come racconta – durante la pandemia ha
accumulato e sedimentato da uomo e da uomo di teatro, insieme al desiderio di condividere quel groviglio di
pensieri e sentimenti nati dall’inaspettato modo di vedere e affrontare la vita
che trascinava con sé il tempo del lockdown.
A
spingerlo all’avventura della scrittura – confida - è stata la moglie,
Antonella, al tempo non eravamo neppure sposati, e la
dedica è inequivocabile: A mia
moglie, Antonella, senza la quale nulla sarebbe. Nemmeno questo sogno. Cosa
ci racconta Lino attraverso il personaggio di Rosaura? “In piedi davanti allo
specchio, si osserva a lungo,
tentando di dominare lo spavento e la
rabbia. Scruta dentro di sé….si ispeziona con pazienza, respirando corto, quasi
in apnea. Con gli occhi, niente mani: ha paura. E, in qualche irraggiungibile
parte di sé, spera ancora che sia solo un incubo portato dall’aurora”.
Parole
che riassumono il senso di questo racconto/ favola che i disegni di Daniela non
illustrano ma rendono più immaginifico e reale.
Putéca Celidònia, la compagnia di giovani attori che al Rione Sanità
hanno saputo creare una realtà formativa ed educativa occupando due piccoli
spazi confiscati alla camorra, è stata scelta da Lino Guanciale per presentare
il racconto. Si sono conosciuti proprio durante la pandemia, quando Putéca riuscì a dare vita ad una rubrica DAD
– dimenticati a distanza – appuntamenti via internet fra i ragazzi della Sanità,
che per la pandemia non potevano frequentare il laboratorio di teatro, ed
attrici / attori disposti a dialogare. Fra
questi anche Lino, che ha poi continuato ad avere contatti con Putéca e il loro
vicolo della cultura.
Attraverso
le domande di Emanuele, Dario, Clara, Teresa e della piccola Benedetta che
intervistò Lino in pandemia (si possono
ancora vedere e gustare gli incontri sul sito di Putéca) ci si immerge nel mondo di
Rosaura, in viaggio in cerca di sé e della sua identità in compagnia dei suoi
tatuaggi che, all’improvviso, vede migrare da una parte all’altra del suo
corpo.
Emanuele
parla dello stile della scrittura, che richiama quella del teatro, perché come nel teatro Lino dà vita a
racconti da altri racconti, a immagini da altre immagini. Anzi, si crea una
costruzione per immagini, una griglia, un gioco, con i materiali verbali di
queste immagini. In ciò che scrivi ci sei tu, conclude Emanuele, tu e il
tuo palcoscenico dei sogni. Del resto, è a Calderon de la Barca
che il libro è dedicato.
Teresa
osserva che un elemento importante è il mare, verso il quale Rosaura va incessantemente incontro. E il
mare è cambiamento, è la dimensione del tempo che scorre, l’elemento nel quale tutti i
tatuaggi si sciolgono. Non sono nostalgico – afferma Lino – ma
descrivo la nostalgica ricerca dell’identità; il mare porta alla riflessone su
se stessi e sui significati della vita. E parla di come l’arte e gli stessi
tatuaggi di Rosaura segnano un percorso di identificazione e il cambiamento si
palesa essere l’unica dimensione che possiamo accettare della vita.
Clara
parla della dimensione del sogno, del confine labile che divide il sogno dalla
realtà, di come la nostra sia una realtà sognante.
Inchiostro permette a Clara di credere nei sogni, alla
loro effettiva vita reale e Lino conferma definendo i sogni come specchi, il
sogno apre orizzonti. Scrive: “In questo paradossale gioco di
specchi, gli unici volti diversi dal suo sono quelli incrociati nel viaggio
fino a lì..” E Clara racconta una sua
personale esperienza.
Dario
chiede se ci sono per Lino dei Maestri e come le loro figure possano aver
influenzato non solo il modo di scrivere ma il metodo da lui usato. Lino
richiama allora il valore della umiltà, che da sempre ha apprezzato in donne e
uomini scrittrici e scrittori. Quello che apprezza è la capacità non di
incamminare o istradare l’immaginario del lettore ma quella di suscitare un
cammino di immaginazione, come accade con i disegni racchiusi in questa favola
che è poi la vita.
E Lino
parla di haiku, pensava quando scriveva alla loro forza di innescare pensieri
ed immagini e
rispondendo alla giovane
Benedetta che gli chiede della paura più grande che abbia
mai provato nel navigare in questa vita, Lino rimanda alla bellezza e
all’importanza del riscrivere se stessi e descriversi, nel continuo del viaggio
che è l’esistere.
E questo lo
ritroviamo nella risposta data da Ilaria, una allieva di Putéca, che gli chiedeva
come mai avesse scelto come protagonista una donna. Come ha fatto a vestire i panni di una donna. Risponde: “La decisione di scegliere
come protagonista una donna, è nata non da una
decisione presa a tavolino, ma è nata spontanea, perché il cambiamento è Donna
“.
Il suo
legame con Napoli? chiede
una donna del pubblico, con la
storia della città? Si rende ancora più solido e vivo; non solo ha girato famose
fiction da interprete nella città, ma ha scelto Putéca Celidònia come
interlocutore, un esempio di rigenerazione urbana come il luogo che ospita la
presentazione, il Foqus, ma
ancora di più è forte quando dichiara di aderire e sentire sulla pelle
questi giorni di emozionante scudetto. Una
città unica.
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